Le difficoltà dei bambini a tavola: disagi o disturbi?

Disturbi e disagi alimentari non sono la stessa cosa. In entrambi i casi, però, spesso c'è una richiesta di attenzione da parte del bambino che attraverso il cibo manifesta problemi di altro genere 

Il momento del pasto è una lotta!. Questa frase riecheggia spesso nelle stanze di consultazione dell’www.pollicinoonlus.it e Centro Crisi Genitori Onlus - Centro per la prevenzione e la clinica dei disordini del comportamento alimentare in età pediatrica.
A parlare sono le mamme e i papà chiamati a destreggiarsi tra le molteplici situazioni in cui il bambino non mangia, non mostra interesse nei confronti del cibo e dell’atto alimentare, rifiuta tutto o, al contrario, non è mai sazio.
L’atto nutritivo può diventare, infatti, anche molto precocemente, 'teatro' di una protesta, di atteggiamenti oppositivi, cioè di una forma di comunicazione nella quale il vero messaggio è celato nel rapporto alterato con il cibo e/o con l’atto alimentare. Si tratta sempre di una modalità adottata dal bambino per manifestare il proprio disagio interiore a cui è importante offrire un ascolto attento, considerandola come 'campanello d’allarme'.
A tal proposito, è opportuno distinguere fra comportamenti alimentari transitori nei quali il bambino prova ad esprimere la propria sofferenza attraverso il cibo e l'atto alimentare - disagi alimentari - e quadri più complessi dove l'ostinazione e l'opposizione del piccolo a tavola risultano essere più rigide e serie - disturbi alimentari.

I disagi alimentari, che spesso fungono da richiesta di aiuto rivolta all'ambiente familiare, non determinano conseguenze sul piano della crescita né implicano necessariamente una problematicità in altre aree (disturbi del sonno, del gioco, delle condotte evacuatorie). La lettura inappropriata di questi comportamenti alimentari, spesso considerati capricci, adombra il fatto che questi bambini usino il cibo come strumento per manifestare una protesta, un ribellione legata a specifiche difficoltà in un momento della crescita e/o della vita familiare. In linea generale, i disagi concernono il lavoro complesso di separazione dal luogo materno e la faticosa rinuncia all'oggetto d'amore primario. 

É possibile, invece, che episodi di rifiuto del cibo o di una sua continua ricerca, che si accompagnano a espressioni emotive forti (collera, pianto eccessivo, ansia, inquietudine), rimandino a situazioni legate al perdurare nel piccolo di un malessere forte, non ancora compreso dal suo ambiente e possano favorire lo strutturarsi di veri e propri quadri sintomatici, inquadrabili nella categoria dei disturbi alimentari, nella quale rientrano l'anoressia e l'obesità. Il rifiuto o il divoramento del cibo non sono transitori, ma perdurano da più tempo con una determinazione tale da aver già compromesso la relazione del bambino con i genitori e, spesso, con l’ambiente scolastico. 
Sovente, oltre alla sfera alimentare, sono presenti anche segnali di malessere quali, ad esempio, i disturbi del sonno, dell’interazione con i coetanei e con gli adulti, i disturbi della condotta e difficoltà rispetto alle condotte evacuatorie. Nei quadri di disturbo alimentare sono presenti anche compromissioni rispetto alla salute del bambino, alla curva di accrescimento e, nei casi più gravi, si rende necessario un ricovero, concordato con il pediatra.
In ottica preventiva, se da un lato si può asserire che l'alterazione del rapporto del bambino con il cibo sia trasversale alla normalità e alla patologia, ovvero se anche in uno sviluppo sano possono evidenziarsi comportamenti alimentari alterati, è bene ricordare che i disturbi alimentari (anoressia, iperfagia, obesità) possono insorgere anche in tenera età. -